OPINIONI

23 dicembre 2014

Edilizia: crisi e strategie di rilancio

Intervista a Massimo Calzoni, presidente Ance Umbria

di Chiara Ceccarelli

Il settore delle costruzioni ha pagato la crisi con 800mila occupati in meno. Quasi 16mila le imprese di costruzione fallite dal 2009 al 2014. Dall’inizio della crisi il settore ha perso il 32% di investimenti, pari a 64 miliardi di euro, e le previsioni per il 2015 sono di un ulteriore calo del 2,4%. Numeri da far tremare i polsi. Numeri aggiornati nell’Osservatorio congiunturale, curato dalla Direzione Affari Economici e Centro Studi dell’Ance, presentato il 18 dicembre a Roma. Ai lavori ha partecipato anche l’ingegnere Massimo Calzoni, presidente di Ance Perugia e di Ance Umbria, membro di giunta e del comitato di presidenza di Ance nazionale. Dal 2007 è presidente nazionale del Formedil, ente di coordinamento di iniziative di formazione, qualificazione e riqualificazione nel settore delle costruzioni, che si articola sul territorio attraverso la rete di 100 scuole edili provinciali.

L’Umbria e l’Italia combattono ancora con la crisi. Presidente Calzoni, quali sono i numeri del settore edile?

“Solo nel terzo trimestre dell’anno l’edilizia ha perso 60mila occupati. Si tratta dell’unico settore economico che registra ancora un segno negativo. Dall’inizio della crisi, in Italia, abbiamo perso circa 800mila posti di lavoro diretti, di cui più di 20mila in Umbria, e poco meno di 1 milione nell’indotto. Una situazione drammatica, in peggioramento sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Basti solo pensare che gli iscritti alla cassa edile sono passati da 900mila a 350mila. Tra questi, 110mila sono partite Iva. La qualità del lavoro si è polverizzata”.

Lo Sblocca Italia può avere un impatto positivo sull’edilizia regionale?

“In questa situazione, interventi come gli ‘Ecobonus’ e lo ‘Sblocca Italia’ sono gocce nel mare. Gli ‘Ecobonus’ hanno dato un po’ di ossigeno alle micro imprese grazie al meccanismo degli incentivi fiscali. Lo ‘Sblocca Italia’ semplifica ma non immette risorse rilevanti rispetto ai fabbisogni del settore. Sono interventi di soccorso, di tipo congiunturale e non strutturale. Non sono risolutivi. Hanno un respiro corto che non inverte, purtroppo, la tendenza. Anche nel ddl Stabilità 2015 continua il calo degli stanziamenti dello Stato negli investimenti pubblici. Meno 11%. Mentre dal 1990 ad oggi le spese correnti sono aumentate del 34%, quelle per nuove infrastrutture sono crollate del 66%”.

Oltre alla crisi ci si mette pure la mafia. L’operazione in Umbria dei Ros, coordinati dalla Dda, ha portato alla luce estorsioni e intimidazioni ai danni di imprenditori locali, alcuni operanti nel settore edile. Come si batte l’illegalità?

“L’illegalità crea distorsione nel mercato e impoverisce la società civile. La lotta all’illegalità deve essere un esercizio continuo da parte sia delle forze dell’ordine che di imprenditori e privati cittadini. Il fenomeno va sempre denunciato. La repressione da sola, però, non basta. Occorre prevenire. E il rafforzamento della cultura della legalità dovrebbe andare di pari passo con il potenziamento, la semplificazione e l’aggiornamento normativo. Abbiamo, per il settore pubblico, una legge antimafia di 30-40 anni fa, basata su autodichiarazioni, successivamente verificate a campione dalla stazione appaltante. Non ci sono, invece, obblighi nel settore privato edile. Non ci sono requisiti di accesso stringenti alla professione. Infiltrarsi è semplice, tanto più nell’attuale crisi economica”.

Qual è la strategia per rilanciare un settore strategico come l’edilizia?

“Occorre abbandonare e pure in fretta la logica dell’emergenza. Fare per fare non porta a nulla. La logica dell’emergenza non elimina la paura per il futuro, la precarietà e l’instabilità che stringe nella morsa l’Italia. Serve un piano di opere pubbliche a medio e lungo termine, con scadenze definite e risorse certe. C’è tanto da fare. L’80 per cento delle unità abitative non è antisismico. Dobbiamo completare l’alta velocità su ferro e migliorare i collegamenti autostradali. Dobbiamo rendere i nostri centri urbani più sostenibili ed efficienti al passo con le sfide contemporanee. Serve una defiscalizzazione del patrimonio edilizio e un riassetto istituzionale serio, che razionalizzi effettivamente la macchina pubblica per liberare risorse. Ci dovremmo allineare almeno alla media europea e portare gli investimenti in infrastrutture dagli attuali circa venti a cinquanta miliardi all’anno. Per tornare a crescere servirebbe uno choc da 100miliardi per due anni da investire su opere pubbliche e infrastrutture. Risorse che produrrebbero maggiore gettito Iva, più contributi previdenziali e rimetterebbero in moto il tessuto produttivo. Centri urbani accoglienti e sostenibili, infrastrutture moderne sono spazi e reti su cui corrono creatività, innovazione e produzione. Una dotazione del territorio adeguata, moderna ed efficiente è un obiettivo primario per restituire competitività al sistema economico. C’è una relazione stretta tra mondo delle costruzioni, competitività del tessuto produttivo e buona qualità della vita. Rilanciare il mondo delle costruzioni significa scommettere sul futuro”.



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