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30 settembre 2011

Acqua ed energia, un grande piano di sviluppo

di Carlo Andrea Bollino

 Il profilo della risorsa acqua è molto complesso e recentemente è stato affrontato con passione ideologica, fatto che ha ingarbugliato le questioni importanti sul tappeto invece che fare chiarezza. E questo è un problema per il funzionamento del mercato e dell’economia, perché quando avviene una divaricazione nel mercato fra consumatori che reagiscono con visioni ideologiche e imprese reagiscono con la logica del profitto (cosa in genere pacifica per le imprese che competono tutti i giorni nella sfida sempre più globale), allora la funzione allocativa del mercato che porta all’efficienza può essere compromessa. Faccio un esempio del lontano passato: decenni fa si creò un sentimento contro la TV a colori in Italia, secondo l’ideologia che il bianco e nero era sufficientemente sobrio e quindi la TV di Stato (la Rai) non doveva buttare i soldi sul colore. Il mondo delle imprese reagì nel modo più prevedibile: rinunciando agli investimenti in ricerca e tecnologia nel settore, con il risultato che la nostra industria degli elettrodomestici scuri si indebolì fino a sparire (e non solo per la concorrenza giapponese, vedi la Philips). Chi può dire che con la genialità del design e dell’ingegneria italiana oggi non avremmo potuto essere protagonisti del settore dell’elettronica come lo siamo nel fashion dell’abbigliamento? Se solo avessimo avuto il mercato interno della Tv a colori a fare da traino? Tornando all’acqua, come bene prodotto e domandato nel mercato, vi sono vari usi: civile, irriguo, industriale ed energetico, anche se il dibattito è prevalente sul tema civile. Il punto fondamentale è che la gestione di attività complesse e particolari come l’acqua deve necessariamente contemperare due aspetti: il primo è quello del bene comune il secondo è quello della efficienza produttiva. Questo perché l’acqua presenta una molteplicità di servizi resi alla collettività e la recente ideologia ravvivata dai referendum dal lato della domanda rischia di inceppare le soluzioni che devono esser date dal lato dell’offerta per trovare la “migliore forma” gestionale. Sul bene comune. Il problema cruciale è quello di disegnare una gestione non solo in termini di efficienza ma anche di solidarietà. Ciò significa garantire l’universalità della fruizione alla collettività e il minimo vitale a ciascun individuo (che potrebbe essere, senza scandalo, anche gratuito). In questa direzione troviamo, ovviamente, l’impianto del Piano Tutela delle Acque della Regione Umbria (aggiornato ai sensi della Direttiva 2000/60/CE), che mira a normare la salvaguardia dell’ambiente e della qualità. Sull’efficienza. La filiera di gestione dell’acqua è caratterizzata da un elevato grado di monopolio naturale per via della elevata incidenza delle infrastrutture a rete: si pensi che conservazione e potabilizzazione dell’acqua più distribuzione raccolta e trattamento delle acque reflue rappresentano globalmente l’83% dell’intera catena del valore economico. Per chi si lamenta in Italia, occorre ricordare che la tariffa media a mc è 0,80 euro in Italia e fra 2,5 e 4,4 euro in Francia Regno Unito e Germania. Quindi, la soluzione è semplice: occorre trovare il coraggio di affidare la gestione all’impresa perché i profitti facciano scattare la molla degli investimenti in efficienza e, ancora, il coraggio di mantenere la responsabilità politica del controllo di indirizzo, nell’interesse dei cittadini. Gli altri usi della risorsa acqua interessano l’irriguo e l’idroelettrico. Ricordiamo che l’uso irriguo, alla stessa stregua dell’uso civile, comporta un carico inquinante della qualità della risorsa acqua che deve essere ripristinato. Si pensi che in Umbria il totale dei prelievi idrici annui è stimato in poco più di 304 milioni di metri cubi: le quota più significative sono attribuibili al settore irriguo (39,6%) e a quello civile (38,0%). Invece l’uso idroelettrico è un uso conservativo, comportando la restituzione di gran parte delle acque prelevate. Quanti (oltre ovviamente agli addetti del settore) lo sanno? Quanti sanno che le centrali idroelettriche in Umbria assommano una potenza di oltre 550 MW (Corbara, Alviano e zona del Nera), maggiore della centrale termoelettrica di Pietrafitta? Allora, comunque utilizzata l’acqua necessita di gestione industriale e quindi di investimenti. Ma torniamo al punto di partenza: se la visione ideologica dal lato della domanda chiede garanzie sulla natura di “bene comune” dell’acqua, ma la gestione industriale dal lato dell’offerta chiede garanzie sulla “profittabilità” industriale dell’investimento, occorre un quadro chiaro di regolazione del mercato. Un quadro che solo la politica deve assumersi la responsabilità di governare. Altrimenti, l’imprenditorialità scappa e la qualità del servizio, è il caso di dire, si dissecca! In via primaria, spetterà alla politica definire il quadro di conciliazione fra efficienza della gestione industriale che chiede remunerazione dei capitali in tariffa e esigenze di qualità del servizio per la collettività. In conclusione, però, vorrei avanzare una proposta innovativa per la gestione dell’acqua in Umbria sul fronte dell’uso energetico. Occorre ideare un grande piano di sviluppo degli usi energetici dell’acqua lungo due direttrici. Primo, bisogna sbloccare l’immobilismo attuale e consentire lo sfruttamento da parte del settore energetico di tutte le potenzialità residue (e ce ne sono!) sui corsi attuali, da vincolare alla realizzazione di investimenti necessari e complementari nei settori civile e soprattutto irriguo, per migliorare il beneficio della collettività. Ciò significa far dialogare proficuamente nella regione chi si occupa di elettricità e chi si occupa di acqua. Secondo, occorre accompagnare con decisione la diffusione della geotermia a bassa entalpia nel settore civile e industriale, favorendo e non ostacolando con le solite pastoie burocratiche l’uso delle falde che, come noto, non vengono alterate (dato che vengono utilizzate solo per uno scambio termico). Ricordando che oltre il 60% del prelievo idrico in Umbria è sotterraneo e quindi che vi è una grande potenzialità di sviluppo in questo settore di energia rinnovabile, occorre far dialogare proficuamente il cittadino e le amministrazioni locali competenti per “realizzare” e non “vietare”. Del resto, se l’Umbria è il “cuore verde”, tutto questo verde “vive” perché c’è l’acqua: facciamo si che questo prezioso bene comune circoli al servizio della collettività – cioè, detto con linguaggio economico, si riducano finalmente i costi per la tasca del cittadino!