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30 settembre 2011

Acqua “da mangiare”

di Lorenzo Vergni, Alessandra Vinci

 Il tema dell’acqua, della sua quantità e qualità, è certamente ormai questione posta all’attenzione generale, non più focalizzata solo sui paesi in via di sviluppo o in situazioni locali a rischio di desertificazione, ma valutata anche per i suoi rilevanti aspetti ambientali (emungimento da falde, intrusione di cuneo salino, deflusso minimo vitale e riutilizzo di acque reflue depurate), in termini di emergenza collettiva. La risorsa idrica si configura come un bene pubblico e limitato la cui disponibilità, a causa di usi plurimi (ambientale, civile, industriale, agricolo), è tale che ben difficilmente riesce a soddisfare appieno i diversi fabbisogni. La conseguente conflittualità d’uso determina una tendenza all’accaparramento del bene, tendenza che si accentua quando la disponibilità dipende (come nell’attività agricola) da cause “incerte” quali l’andamento climatico. Anche in Umbria, a fronte dei ricorrenti fenomeni di crisi idrica, della ancora importante presenza del comparto agricolo (e dei connessi prelievi) e della sempre più marcata competitività nell’uso della risorsa, si avverte fortemente l’esigenza di un orientamento e di una sensibilizzazione diffusa verso un impiego razionale (e quanto più possibile ottimizzato) e verso un approfondimento conoscitivo da parte degli utilizzatori. A riprova della conflittualità esistente fra i diversi usi, le principali opere idrauliche di approvvigionamento idrico della regione (diga di Montedoglio e diga del Chiascio), pensate inizialmente per un uso prevalentemente irriguo, oggi sono di importanza strategica anche per l’uso idropotabile. Peraltro, proprio sull’uso agricolo si catalizza l’attenzione. Il settore primario è, infatti, il maggiore utilizzatore di risorsa idrica ed è spesso indicato come causa di sprechi o inefficienze. In realtà, fermo restando l’impegno, anche tecnologico, per un uso sempre più oculato ed efficiente, il risparmio non è frutto di una singola azione, ma di strategie integrate che vanno dal miglioramento ed estensione dell’efficienza delle reti irrigue alla sostituzione di vecchi impianti aziendali (con altri più efficienti) ed ancora da progetti per il riuso delle acque reflue depurate allo sviluppo di azioni di ricerca e sperimentazione sul risparmio idrico. Occorre, contestualmente, accelerare la diffusione della consapevolezza che mentre l’acqua domestica è “acqua da bere”, quella irrigua è “acqua da mangiare”: infatti per mangiare una pera si consumano 20-30 litri d’acqua (serviti alla sua produzione), una fettina di carne 800-1200 litri e un’insalata almeno 50 litri. In questo contesto le attività di pianificazione e gestione dell’uso dell’acqua assumono una notevole importanza e devono cercare di trovare una risposta ai problemi sia presenti che futuri. Due sono le sfide principali che devono essere affrontate: • Il rapporto tra cambiamenti climatici e uso della risorsa idrica: le mutevoli condizioni ambientali della Terra e del suo clima hanno portato a discutere (anche se a volte in modo approssimativo) sull’argomento, ipotizzando cambiamenti climatici e conseguenti decurtazioni di risorsa idrica nelle cosiddette aree a rischio del pianeta. Conseguentemente si è diffuso il timore che la disponibilità di questa risorsa possa risultare “a breve” deficitaria rispetto alle esigenze e si è compreso che risultano necessarie delle azioni incisive e immediate. Il settore agricolo risente certamente in maniera più diretta e immediata rispetto ad altri settori produttivi, di eventuali cambiamenti del clima. Sulla base di studi condotti sulle serie storiche di dati climatici in varie regioni italiane (tra cui l’Umbria), si evidenziano già di tendenze evolutive in diminuzione nelle precipitazioni e in crescita nelle temperature. L’impatto di tali cambiamenti è difficile da quantificare, ma è ipotizzabile che potranno localmente aversi sia una diminuzione di disponibilità, sia un incremento della domanda dovuto a maggiori consumi evapotraspiratori da parte delle colture. È quindi necessario pianificare sin da ora l’attuazione di misure mitigative degli impatti (adozione di specie colturali o varietà con esigenze idriche più contenute, scelta di tecniche irrigue e colturali che consentano una riduzione dei consumi). • Le azioni per migliorare l’efficienza e combattere gli sprechi: in generale esistono diversi strumenti tecnici che permettono di determinare in modo “oggettivo” le quantità ottimali di risorsa assegnabili per i diversi scopi, compreso quello agricolo. Un utente, una volta acquisita la consapevolezza di dover gestire un bene deficitario (e quindi di alto valore anche economico) tenderà naturalmente verso alternative finalizzate a realizzare il massimo profitto per volume di acqua erogato. Per l’agricoltore l’obiettivo di “risparmio idrico” può essere conseguibile introducendo miglioramenti sia di tipo tecnico-gestionale che agronomico. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, l’obiettivo dell’ottimizzazione è l’efficienza dell’irrigazione, ovvero l’incremento del rapporto fra l’acqua effettivamente utilizzata dalla coltura e quella prelevata alla fonte di approvvigionamento. Tale obiettivo potrà essere conseguito sfruttando le migliori applicazioni ed innovazioni sia di metodo che di tecnologia. Si può, quindi, intervenire sul metodo irriguo con: a) riconversione degli impianti irrigui verso tecniche irrigue altamente efficienti (irrigazione localizzata); b) miglioramento delle tecniche gestionali di preesistenti impianti finalizzato a ridurre le perdite (evaporazione, ruscellamento e percolazione profonda) mediante adeguamento dell’intensità di aspersione alla tipologia di terreno e mediante corretta definizione di postazioni e pressioni di esercizio. Ancora, l’efficienza può essere incrementata individuando e applicando tecniche di gestione che permettano di stabilire in modo ottimale i tempi e i volumi idrici per l’irrigazione. Grazie al progresso tecnologico, sono oggi disponibili, a costi contenuti, varie tipologie di strumenti: sensori e centraline che consentono di acquisire informazioni oggettive sullo stato idrico della pianta e del suolo, in modo che gli interventi irrigui siano sempre adeguati alle effettive esigenze delle colture. Gli stessi strumenti possono essere anche utilizzati in sistemi irrigui automatizzati con un notevole risparmio di manodopera. Infine l’obiettivo primario di risparmio idrico può essere perseguito con l’adozione di tecniche ed ordinamenti colturali, ovvero lavorazioni del terreno e semina di colture capaci di produzioni soddisfacenti anche in condizioni di disponibilità idrica limitata. Le esigenze in acqua delle colture (fabbisogni irrigui), che dipendono dal complesso fenomeno di scambio idrico fra suolo, pianta e atmosfera, possono infatti risultare estremamente diversificate a seconda della specie e delle varietà colturali. Su questo deve essere impostata la ricerca ed è questo che si propone anche il nostro lavoro all’Università nella speranza di trovare opportune soluzioni alle esigenze di adeguamento dell’uso (e del consumo) di acqua al benessere generale. Infatti l’attività di ricerca e sperimentazione condotta negli ultimi anni dall’Università di Perugia e presso la Sezione di Idraulica Agraria e Forestale ha avuto nel risparmio idrico uno dei temi prevalenti. Un efficace utilizzo dei risultati conseguiti può, però, realizzarsi solo attraverso il coinvolgimento diretto degli imprenditori agricoli. È indubbio che qualunque intervento finalizzato al risparmio idrico deve infatti trovare nell’imprenditore agricolo l’attore principale e l’interprete consapevole della gestione e della tutela di una risorsa di altissimo valore per l’intera collettività. Una diffusione più capillare delle conoscenze relative ai volumi irrigui globali necessari per le diverse colture, delle più opportune modalità di intervento e dei parametri tecnici di progettazione e di gestione degli impianti rappresenta una fase di crescita professionale obbligata per il raggiungimento degli obiettivi in oggetto.